COLLUSIONI, COSPIRAZIONI E CORRUZIONE: Rapporto “sul campo” sui Crimini di guerra turchi e l’uso di Armi chimiche

Fonte: Steve Sweeney – (giornalista del “Morning Star”)

Invito alla lettura

Da tempo Staffetta sanitaria, nell’ambito dell’attività di documentazione su quanto accade nel nord est della Siria, si è occupata di armi chimiche. E’ del 2020 il primo episodio in cui la Turchia usò il fosforo bianco[1], colpendo vittime civili e in particolare bambini, alcuni dei quali curati in Europa e su quell’episodio “causale” emerse che l’uso del fosforo bianco era legale “se non rivolto contro le persone” e dall’altra proprio il Morning Star rivelò la complicità di alcuni Stati Europei ed in particolare della Gran Bretagna, che avevano fornito il fosforo bianco alla Turchia.

Quello che era un episodio si è nel tempo trasformato in un approccio sistematico: di fronte all’impossibilità di ottenere risultati sul campo, utilizzando mezzi militari tradizionali, è diventato per la Turchia un modus operandi consueto che prende di mira non solo i guerriglieri del PKK, ma anche la popolazione civile che popola centinaia di villaggi nei territori dell’Iraq e del Kurdistan Iracheno.

Da questo rapporto emerge chiaramente che gli attacchi contro i civili non sono un “effetto collaterale”, ma fanno parte della guerra della Turchia contro le popolazioni curde che vanno fatte sgomberare per consentire il trasferimento in tali zone di popolazioni arabe amiche, controllare il territorio militarmente e le sue risorse, anche con l’aiuto del partito del clan Barzani che governa il territorio kurdo-iracheno.

Recentemente sono usciti altri Report di fonte curda[2], ma ci è sembrato utile completare il quadro con il documentato lavoro di Steve Sweeney, sia perché ricco di testimonianze viste con gli occhi di un europeo, ma anche perché mette l’accento sulle complicità, le connessioni, le ipocrisie degli Stati e degli Organismi internazionali che fanno finta di non sapere e si appellano a formalismi pur di non riconoscere che la Turchia sta commettendo dei crimini di guerra.

Da questo punto di vista riteniamo che Sweeney colga un punto essenziale della situazione: l’appartenenza del PKK alla lista delle organizzazioni terroristiche, per quanto messa in dubbio da alcune sentenze di carattere parziale, costituisce una sorta di implicita giustificazione all’uso di qualunque mezzo da parte della Turchia, anche se questo colpisce la popolazione civile.

Alla Turchia si lascia passare l’occupazione di ampie porzioni del nord- est della Siria (nel 2018 e nel 2019) e i costanti bombardamenti ed uccisioni mirate, l’utilizzo di milizie mercenarie di provenienza e di ideologia jaidista dispiegata in Siria, ma anche in Libia e dove alla Turchia serve, come in Azerbajan.

Va anche detto che non si tratta solo di “chiudere un occhio”, ma di complicità governative legate alla vendita di armi e al trasferimento di tecnologie militari, come le componenti dei droni turchi usati in Iraq, nel Kurdistan iracheno, nel NES e più recentemente in Ucraina. Ancora una volta, il dittatore “con cui bisogna collaborare”, riesce a trarre vantaggio e legittimazione da una situazione per commettere dei crimini in un’altra.

A fronte di questo, va riconosciuto che il modello del Confederalismo democratico ha superato ormai il decennio di vita, si è esteso in aree della Siria a forte connotazione araba e produce il “miracolo” di tenere insieme 5 milioni di persone all’insegna della convivenza etnico-religiosa, della parità di genere, dell’economia sociale e dell’ecologia. E’ questo, evidentemente, lo spauracchio della Turchia e degli altri stati limitrofi in cui gli Stati-Nazione producono repressione, povertà, corruzione e conflitto interno ed esterno.

Difendere la “rivoluzione del Rojava”,  vuol dire quindi difendere questo paradigma politico e per farlo è essenziale ottenere il delisting del PKK dalle organizzazioni terroristiche e, come afferma anche l’Autore del documento, la dimostrazione dell’uso di armi chimiche e la conseguente messa in mora di Erdogan per crimini di guerra, aiuterebbe ad arrivare a tale risultato.

Va riconosciuto che non ci sono Organismi internazionali, grandi ONG, media internazionali che agevoleranno questo risultato. Anche per questo l’informazione, più diffusa possibile, ne è un presupposto per mobilitare movimenti e singole soggettività che negli anni hanno supportato e visto nella “rivoluzione del Rojava” un faro per un più ampio cambiamento nel XXI secolo.


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