Una storia di solidarietà e supporto sanitario alle popolazioni Rojava (Siria) e della Turchia: la Staffetta sanitaria della Rete Kurdistan Italia

(Articolo per Rivista Sindacale)

D.: Sappiamo che la situazione politica in Turchia è molto grave sia per l’attacco politico-giudiziario contro i curdi sia per le altre migliaia di arresti più o meno mirati in tutte le categorie della popolazione. Riuscite ad intervenire in questo ambito?

R.: Si, la situazione è veramente grave, considerando che in molti territori abitati prevalentemente dai curdi l’esercito sta letteralmente distruggendo le città per favorire il trasferimento e quindi la riduzione di popolazione curda, considerata nemica a prescindere. La Staffetta sanitaria è nata proprio in Turchia nel dicembre 2014, quando gli appelli di UIKI e Rete Kurdistan Italia chiesero alle associazioni, movimenti e singoli solidali di impegnarsi a supportare politicamente e con iniziative concrete la lotta di Kobane contro Isis. La prima “missione” si ralizzò a Suruc (Turchia) a pochi chilometri da Kobane quando ancora a Kobane si combatteva strada per strada e 200 mila persone si rifugiarono nelle zone curde della Turchia. Molti esponenti della Carovana di solidarietà italiana portarano nei propri bagagli personali chili di medicine e attrezzature mediche portatili che vennero consegnate alla farmacia autogestita che riforniva le equipe sanitarie curde che curavano l’assistenza sanitaria ai rifugiati ospitati nei sei campi profughi e nelle abitazioni private di Suruc.  I primi medici ed infermieri operarono nei campi profughi insieme ai giovani volontari curdi che autogestivano l’assistenza sanitaria a tutta questa popolazione, composta prevalentemente da donne e minori.

In quell’occasione l’incontro con rappresentanti delle istituzioni locali gestite dai curdi,  con i referenti e i volontari che autogestivano tutti gli dell’assistenza ai rifugiati consentì, a chi era nuovo in questa battaglia, di prendere atto dello sforzo e dell’impostazione di queste iniziative, come espresse dalla Carta sociale del Rojava: ecologia, autogestione, promozione della rappresentanza sociale e del ruolo delle donne, rispetto dei diritti di ogni popolo, in un quadro di “superamento” della rivendicazione di uno stato curdo e di promozione di forme di autogestione comunitaria.

 Dopo le prime Staffette nei campi dei rifugiati, altri medici ed infermieri volontari (anche nel senso che hanno “autogestito” le spese del proprio intervento) intervennero a Suruc fino a quando, vinta Isis a Kobane e dintorni i campi profughi si svuotarono perché la popolazione rientrò in gran parte a Kobane.  

D.: E da questo momento le Staffette cominciarono ad operare a Kobane?

R.: Si, dopo aver avuto uno speciale permesso dalla rappresentanza ONU per consentire a personale sanitario di attraversare il confine con la Turchia e che la Turchia mal volentieri dovette accettare. L’accoglienza delle popolazione e dei sanitari a Kobane e la possibilità di vedere e raccontare la “rivoluzione del Rojava” ha emozianato gli Staffettari/e come traspare dagli articoli apparsi su qualche, raro per la verità, canale di comunicazione.  Abbiamo continuato a portare medicine e piccole attrezzature da soli e con le successive Carovane partite dall’Italia e qualche altra Staffetta è arrivata a Kobane fino a quando il confine turco è stato sigillato a merci, persone e aiuti umanitari. Mentre cercavamo una nuova strada da percorrere, ormai inseriti dentro la rete Kurdistan Italia e collaborando con la MezzaLuna Rossa Kurda, abbiamo individuato nuove modalità di azione. Ad es. se le medicine sono diventate intrasportabili, grazie ai contatti della Rete abbiamo individuato una struttura in loco a cui inviare mensilmente le risorse per comprare almeno in parte le medicine più urgenti.

Attrezzature portate con una Carovana di solidarietà

D.:  E le Staffette sono riprese?  Siete passati dall’Iraq?

R.: Si sono passate da Erbil e da là le persone sono state “prese in consegna” da personale di una ONG che li ha portati al confine e aiutato con i permessi ed i passaggi. Senza di loro non avremmo potuto riprendere perché stiamo molto attenti ad assicurare le migliori condizioni di sicurezza per noi gestibili: le persone che partono con noi spesso si avvicinano per la prima volta alla questione curda e quasi sempre questa è la prima esperienza di solidarietà attiva. Nessuno è un avventuriero ed ognuno è là per fare un intervento preparato nel corso di qualche mese con lui e i nostri referenti in loco. Il loro obiettivo è fare e poi raccontare nelle iniziative organizzate nei territori al loro ritorno. Ma anche questo percorso non è durato e abbiamo dovuto ancora inventarcene altri…

Esponenti di una Staffetta con personale sanitario locale

D.: Cioè, vi hanno bloccato anche dall’Iraq?

R.: Facciamo un passo indietro: la situazione in Turchia peggiora con l’avvio del disegno di Erdogan di cambiare la costituzione e diventarne il nuovo sultano restando in carica con tutti i poteri fino al 2023.  Il successivo “colpo di stato” dà l’avvio ad una repressione feroce con  l’arresto di 150 mila persone fra soldati, impiegati civili, forze di polizia, giudici, giornalisti. Non si tratta soli di un’operazione militare ma anche di posizionamento politico e culturale: Brecht, Shakespeare e Dario Fo vengono vietati, le associazioni ed i centri culturali curdi vengono chiusi a migliaia, gli amministratori eletti vengono sostituiti con commissari governativi. Questa situazione ha comportato la chiusura delle strutture con cui collaboravamo e l’impossibilità di continuare ad avere contatti con i nostri referenti, che spesso sono stati toccati direttamente da questa repressione.

D.: Quindi problemi per l’invio di risorse per l’acquisto di medicine per l’ospedale di Kobane, ma perché avete avuto difficoltà anche nel Kurdistan Iracheno?

R.: Diciamo che in qualche modo la leadership del Kurdistan iracheno è compromessa con la Turchia. Difatti questo territorio è governato dal “clan Barzani”, che ha avuto un peso determinante per decenni nel Kurdistan Iracheno ed è di ascedenza sunnita, come i turchi, mentre un’altra porzione è governata da Talabani di ascendenza sciita. In questo contesto sembra che il primo problema di queste leadership è quello di garantire la propria sopravvivenza e quindi di allearsi, anche momentaneamente, con quelle forze che sono in grado di garantirti di più. Le frontiere sono dunque un’arma di pressione: chiudo per fare un favore al nemico del mio nemico e apro per ottenere un vantaggio. L’embargo fa parte da tempo di questa guerra sporca che non ha l’obiettivo di arrivare ad una pace, ma mettere sotto pressione popolazioni ritenute ostili per cambiarne la composizione etnico-religiosa.

D.: Gli attacchi agli ospedali si spiegano in questo modo?

R.: Certo, Isis non ha soltanto terrorizzato e ammazzato le persone ma ha fatto terra bruciata ovunque è passata distruggendo strutture sanitarie, strade, università, scuole. A parte il Rojava, in cui la situazione è presidiata dalle forze di protezione popolare, gli aerei di Assad e dei russi hanno continuato con questa strategia prendendo di mira proprio gli ospedali. I turchi hanno impedito alle ambulanze di soccorrere i feriti e persino di seppellire le persone. E’ un segnale per dire che non c’è scampo, nessuna dignità e rispetto viene riconosciuto e l’unica alternativa è andarsene o accettare il “nuovo ordine” imperiale. Dunque, tornando alle nostre Staffette, a giugno 2016 gli ultimi medici ed infermieri sono stati tenuti fermi alla frontiera per 10 giorni, con la promessa quotidiana di passare il giorno dopo. Il permesso per entrare è arrivato solo 3-4 giorni prima della data in cui il permesso scadeva. E questo è stato un segnale chiaro e forte per noi e la ONG di cui abbiamo dovuto tenere conto.

D.: Pensate che anche le Staffette sono sotto il mirino di qualcuno?

R.: Non tanto le Staffette, ma sicuramente il movimento italiano è “attenzionato” sul web tanto che spesso i siti vengono attaccati (a gennaio-febbraio più volte quello di Mezza Luna Rossa Kurdistan Italia) e le pagine facebook ci vengono chiuse. Non possiamo quindi escludere altri metodi anche considerando che è emerso un traffico dall’Italia di tecnologie spia del web, compreso un sistema satellitare lanciato recentemente da una piattaforma europea e con cui le forze armate turche e i loro alleati potranno mirare ancora di più i propri attacchi.

D.: Quindi, quali iniziative portate avanti oltre alle Staffette?

R.: Già con le Staffette erano state avviate iniziative nel campo dell’educazione e della prevenzione e che sono state ampliate in particolare con un’attività informativa e di prevenzione della Leishmaniosi, una malattia gravissima che colpisce migliaia di persone. Ma soprattutto, si può dire che in Rojava sia stata superata una prima fase di assoluta emergenza ed ora si sta cercando di costituire un sistema sanitario autonomo e per questo supportiamo il Progetto di MazzaLuna Rossa Kurdistan Italia di raccolta di risorse finanziarie per costruire un Piccolo Ospedale a Tell Temr (https://buonacausa.org/cause/un-ospedale-per-il-rojava)  e abbiamo avviato un’iniziativa di collaborazione didattica con le Accademie del Rojava.

D.: Con quali iniziative pensate di finanziare questo Progetto?

R.: Mezza Luna ha avviato un’iniziativa di crowdfunding via web, noi stiamo avviando altre iniziative che coinvolgono i territori ed i nodi di Rete Kurdistan: la produzione di un CD con canzoni inedite di importanti band dedicate alla resistenza kurda, la vendita per il terzo anno di arance che ci vengono fornite sotto-costo da SOS Rosarno, l’anno scorso abbiamo imbottigliato e venduto 1000 bottiglie di vino di produttori No-Triv. Noi siamo espressione dei movimenti e della società civile e facciamo da divulgatori e attivatori di solidarietà non soltanto finanziaria.

D.: Che vuol dire?

R.: Che oltre ad un piccolo gruppo che segue in modo continuativo queste attività, ci sono molte persone che collaborano con la Staffetta in giro per l’Italia e non solo e che si attivano su richieste specifiche, non saremmo arrivati da nessuna parte senza l’aiuto di ex staffettari e di altri esperti che a volte non abbiamo neanche incontrato direttamente.

D.: Cosa si può fare per aiutare la Staffetta ad aiutare?

R.: Credo vada chiarito che la Staffetta ha senso solo nell’ambito di un più ampio movimento di solidarietà politica con il popolo kurdo. Realisticamente possiamo portare, come tanti altri, un contributo concreto, ma questo non impedisce che gli attacchi militari continuino e che nell’ambito di una “pacificazione” condivisa con le grandi potenze il Rojava venga sacrificato. Per questo sono di primaria importanza le iniziative di solidarietà che partendo dal basso coinvolgano media ed istituzioni, fino a quelle europee che potrebbero avere un effettivo impatto sul futuro del Rojava e delle aree in Turchia, Iraq e Iran in cui vivono quasi 50 milioni di curdi.

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